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martedì 30 giugno 2015

I Casting

Una volta si diceva che la strada per il successo è lastricata di dolore...ma per esperienza posso dire che in Italia la strada per il successo è composta da una moltitudine di letti in cui infilarsi. Non credo alla favola della brava ragazza spinta dalla necessità, della donna usata malgrado la sua volontà, vedo un branco di spietate arriviste disposte a tutto pur di ottenere ciò che vogliono, queste persone non provano dolore per ciò che fanno, altrimenti si comporterebbero in modo diverso. Ho avuto tante opportunità di entrare nel club delle elette, ma le ho rifiutate, vivo di sacrifici e di onestà. La mattina mi alzo alle sei e lavoro 8 ore per portare a casa un misero stipendio, la mia amica non ha bisogno di lavorare, la mia amica non deve fare il calcolo di ciò che prende quando va a fare la spesa per vedere se ha abbastanza soldi per pagare, ma la mia amica ha ceduto a quel che la società italiana malata le ha proposto.
Concorsi di bellezza e ancora concorsi di tutti tipi, selezioni su selezioni... di cosa vogliamo parlare adesso?
Vi parlerò di casting e dei mille che ne ho fatti per partecipare come concorrente, come valletta o come protagonista di reality show...
La televisione è un mondo strano, è un luogo tutto diventa fantasticamento vero, anche quello che stentavi a credere.
Ho lavorato per tutte le emittenti televisive nazionali, naturalmente non da protagonista del piccolo schermo, ma come semplice e comune figurante. Ma chi sono i figuranti? I figuranti possono essere di due tipi:
-  poveri disgraziati che sognano una carriera in campo artistico e per svariati motivi non riescono ad affermarsi
- gente comune senza alcuna ambizione nel settore ma essendo disoccupati e disperati si accontentano di un qualsiasi impiego pur di portare a casa qualche soldino.
Quali sono le competenze del figurante?
Essenzialmente nessuna, il figurante deve semplicemente ridere e sorridere sempre e comunque, qualsiasi cosa accada. Si fa tutto a comando: c'è una figura preposta alla scelta dei comandi da eseguire e ci sono una serie di meri esecutori.
Ma torniamo ai casting, dell'attività di figurante ne parleremo più avanti, quando avrò spieagato prima come vengono selezionati la quasi totalità dei soggetti che vedete in tv quotidianamente.
Il mio primo casting fu per un programma televisivo in cui occorreva essere particolarmente telegenici e aggiungerei anche particolarmente "zoccole"! Bisognava saper ridere e sorridere sempre mostrando a tutti delle abilità artistiche, seppur inesistenti ma esibite con "puttanesca" mastria...
Partii da Siena all'alba per recarmi nel luogo della selezione. Riconobbi il posto dall'enorme fila di ragazze in minigonna accalcate davanti a un rudimentale capannone.
La maggior parte degli studi televisivi hanno le sembianze di capannoni industrili, sono strutture semplici e grezze, in cui vengono montate in un secondo momento delle scenografie che rendono l'idea di luoghi meravigliosi.
Per i casting non erano state allestite scenografie, quindi il luogo si prensentava come un semplice, squallido e polveroso capannone.
Erano stati messi in un angolo dei banchetti in cui delle signore vestite bene distribuivano dei modelli da compilare, veniva richiesto oltre alle generalità anche qualcosa di più personale ( ambizioni, sogni e predisposizioni artistiche).
L'esercito delle aspiranti prescelte era rigorosamente in abiti succinti, tutte vistosamente truccate e pettinate... sembrava un esercito di mignotte e non escludo che molte di loro lo fossero, ma non di professione, probabilmente solo di animo!
Mentre ero in fila notai numerosi conduttori televisivi, registi e tecnici audio/video che si aggiravano fra le ragazze con maliziosa curiosità. Molte ragazze colsero l'occasione di una foto per scambiare qualche chiacchiera e per fornire il proprio numero di cellulare...
Avete mai visto il tanto criticato "Ricordati di me" di Gabriele Muccino?
E' proprio questo quello che succede ai casting, il sorriso in più, la disponibilità ed ecco aprirsi le porte del paradiso...
Che si tratti di casting per reality show, talent show, per spot pubblicitari o per diventare concorrenti di quiz a premi la chiave per superare ogni prova è sempre quel sorriso in più e quella disponibilità che fa comodo un po' a tutti i protagonisti della vicenda, non ci sono vittime e carnefici, ci sono maniaci sessisti o porci patentati e prostitute di indole o di professione, che fanno del proprio corpo e delle proprie abilità sessuali la  garanzia per il successo.

lunedì 29 giugno 2015

Titoli e titolati

Avevo sete di vendetta, volevo dimostrare a quel ragazzo che valevo molto più di quanto lui credesse e così decisi di salire in passarella una seconda volta. Concordai con l'organizzatore la selezione e feci l'errore di lasciargli il mio numero di cellulare, l'appuntamento era in una discoteca molto famosa in città a fine mese. Mancavano quasi tre settimane alla sera in cui avrei potuto avere il mio riscatto, così decisi di rimettermi a dieta per poter reggere la competizione.
Inizia a mangiare sempre di meno, ma niente più sciroppo alla gramigna, lo sostituii con una dose giornaliera abbondante di anticellulite!
Arrivai alla selezione che pesavo meno di 50 kg e per una persona alta più di un metro e settanta forse è davvero poco!
Mi sentivo più sicura di me, avevo raggiunto il peso desiderato, avevo un vestito da sera da sfoggiare e un costume da bagno appena comprato (solo dopo capii che non sarebbe stato necessario, perchè in questo tipo di concorso i costumi da bagno li fornisce lo sponsor).
Con me avevo portato un amica di università, una ragazza un po' strana ma con il debole per la moda e il mondo dello spettacolo.
Quella sera in discoteca speravo di trovare quel ragazzo che era sparito nuovamente dalla mia vita senza darmi alcuna motivazione e che non aveva mai risposto ai miei messaggi.
Fra tanta gente venuta da tutta la città lui non c'era e per me fu come una doccia fredda nella tranquillità della notte.
A differenza degli altri concorsi questo era molto ambito e di partecipanti ce ne erano davvero tante. Mi sentivo terribilmente a disaggio, avevo intorno a me delle ragazze bellissime, tutte molto preparate, avevano frequentato corsi di dizione, di recitazione, di portamento, sapevano ballare, cantare e sfilare... mi sentivo goffa nel mio costume intero sebbene fossi stata truccata e pettinata da parrucchieri esperti partners della manifestazione.
Riuscii appena a camminare sul famiggerato tappeto rosso, ma lo feci per la maggior parte del tempo a testa bassa, un po' perchè non mi sentivo all'altezza della competizione, un po' perchè ero terribilmente triste.
Niente riuscì a risollevare il mio umore, nemmeno l'essere arrivata senza alcuna partecipazione emotiva fra le prime 10 classificate.
La mia amica al contrario era perfettamente a suo agio e non mancò di cogliere le attenzione di quell'uomo che aveva insistito affinchè partecipassi alla competizione.
Col tempo seppi che diventò la sua fidanzata per un breve periodo e questo le valse il titolo del concorso a livello regionale.
Quella sera capii che ero stata una stupida a salire su quel palco e che forse era il caso di voltare pagina.
Non so se qualcuno di voi ha mai partecipato a un concorso di bellezza, è un po' come una catena di Sant'Antonio, è un continuo peregrinare da un luogo all'altro, da una selezione all'altra. Ne fai una e sei obbligata a farne altre, gli organizzatori devono garantire uno spettacolo completo ai locali  e alle piazze ospitanti la manifestaziomne per cui occorrono una moltitudine di ragazze pronte a mostrare in pubblico le proprie abilità incuranti delle numerose critiche che arrivano da tutti i fronti.
Dopo quella sera avevo deciso di chiudere con i conconrsi di bellezza eppure non mi rendevo conto che non sarebbe stato così facile come pensavo.
L'organizzatore aveva il mio numero di telefono, il mio indirizzo, la mia scheda e sapeva ormai tutto di me.
Iniziò a chiamarmi a tutte le ore invitandomi ad altre selezioni e ad altri eventi. Declinai ogni suo invito, così le chiamate divennero sempre più frequenti e sempre più lusighiere.
Arrivai a essere ammessa alle selezioni regionali senza aver mai superato le provinciali, mi chiamò addirittura sul numero di telefono di mia nonna, come lo avesse ottenuto resta ancora un mistero per me, poi non ricevendo alcun riscontro positivo divenne sempre più esplicito.
Iniziai a trovarlo sottocasa, si presentava come se fosse capitato lì per caso, ma sapevo bene che conosceva ormai gli orari delle mie lezioni e sapeva bene quando e come tornavo a casa.
Mi fece svariate dichiarazioni d'amore, cercò di farmi dei regali, per non contare tutti i mazzi di fiori... poi forse esasperato per il fallimento continuo delle sue imprese mi illuminò su quella che sarebbe stata la mia carriera artistica se solo avessi scelto di diventare una delle sue "fidanzate" e infine mi parlò della mia amica, di quella ragazza con cui andavo all'università e che aveva scelto di fare con me la prima selezione del concorso.
Quel teatrino andò avanti per più di un anno, poi pian piano le telefonate si diradarono e anche i pedinamenti diminuirono, fino a quando quel piccolo uomo investito da un grande potere si arrese e rivolse la sua attenzione su altre ragazze più giovani, più belle e soprattutto più disponibili. Non vidi più la mia amica all'università, la incontrai solo molti anni dopo per le vie di Roma, quando ormai era diventata una nota showgirl, fece finta di non conoscermi e io feci altrettanto... capisco bene che non le erano più necessari i miei appunti o la mia compagnia, ormai era una donna ricca e potente, mentre io e i miei sani principi abbiamo continuato e continuiamo a vivere una vita normale ricopendro un ruolo anonimo in una società corrotta.

domenica 28 giugno 2015

Altro concorso, stesso scenario

Portavo con me un abito indossato per le grandi occasioni, le scarpe col tacco prese in prestito da mia sorella e un costume appena comprato per far bella figura in passerella.
Il concorso di bellezza prevedeva oltre alla sfilata anche una prova artistica, ma non sono mai stata tagliata per la musica nè tanto meno per la danza, così ebbi l'infelice idea di recitare una poesia breve ma intensa che meglio rapprensentava il mio stato d'animo in quel momento... mi sentivo sola per cui la scelta ricadde su "E' subito sera" di Quasimodo... Oggi mi rendo conto che fu senz'altro inappropriato considerando il pubblico che avevo davanti. Tutti mi guardarono allibiti e dalla platea si sollevò una voce "...ma china cazzo è su Quasimodo?"
La prima fascia fu conquistata da una ragazza il cui padre aveva contattato nel pomeriggio tutti i giurati, ma io ero felice lo stesso perchè in mezzo a tutta quella gente avevo conquistato una terza fascia senza chiedere aiuto a nessuno e a far crescere la mia autostima avevo contribuito un signore del pubblico che intervistato dal conduttore su chi fosse la sua preferita  aveva asserito "Er numero nu mo ricordo ma c'aveva er vestito rosso" : solo io indossavo un abito rosso!
Altro concorso, altre persone, altri dirigenti, altro staff, ma identico quadretto: solita fila di mamme frustrate che portano le proprie figlie per avere un riscatto sociale, solita fila di maniaci pronti ad assaltare le concorrenti più ambiziose, solite ragazze represse in cerca di marito!
Avevo raggiunto la maggiore età, per cui potevo partecipare senza l'obbligo di un accompagnatore e in effetti i miei erano allo scuro di tutto.
Erano gli anni dell'università. Avevo inseguito il mio primo amore e con un notevole sforzo ero riuscita a frequentarlo, peccato che oltre a me frequentava chissà quante altre ragazze!
La mia insicurezza cresceva giorno dopo giorno così volevo farmi notare: è incredibile quante cose stupide si fanno per amore!
Avevo incontrato per caso una persona molto influente, mentre aspettavo che quel ragazzo speciale venisse a prendermi.
Ero sottocasa vicino l'università, era giugno inoltrato, faceva caldo e indossavo un abito un po' striminzito, avevo passato l'intera mattinata a prepararmi e avevo addirittura dormito con i bigodini (messi tra l'altro da sola e fermati con degli spaghetti perchè dalla fretta di portarli via da mia madre senza farmi scoprire avevo dimenticato i beccucci!)
Una macchina sportiva a gran velocità sfrecciò sotto casa, poi a un tratto frenò, fece retromarcia in curva e si fermò sul ciglio della strada. Un uomo giovane e dall'aspetto molto distinto si presentò. Mi accorsi subito che nonostante le dimensioni dell'auto era "di piccola taglia" (alla luce delle mie letture di Tolkjen potrei dire che era un hobbit, la forma delle orecchie lo testimoniavano) scese dall'auto, attraversò la strada e mi venne incontro. Si presentò come l'organizzatore di un famoso concorso nazionale e come responsabile di una nota agenzia di modelle, mi riempì di complimenti e infine mi lasciò un biglietto da visita su cui annotò il suo numero di cellulare sfoggiando uno dei suoi sorrisi a 34 denti!
Avevo aspettato il mio primo amore per ben due ore sotto il sole, non era venuto e non aveva neppure telefonato. Non sapevo spiegare il suo comportamento e nonostante mi sforzassi non trovavo una valida motivazione. Ancora oggi non so con certezza perchè non si presentò, ma dentro di me si faceva spazio l'idea che aveva trovato qualcosa di meglio da fare che stare in compagnia di una sciocca ragazzina innamorata. Allo scadere della terza ora di attesa invano tornai a casa in lacrime, mentre mi cambiavo d'abito mi capitò tra le mani il biglietto da visita di quell'uomo, così la disperazione mi spinse a chiamare.

mercoledì 24 giugno 2015

I concorsi di bellezza: insane fiere!

Perchè una ragazza decide di partecipare a un qualsiasi concorso di bellezza?
In tanti si pongono questo quesito e sebbene io non abbia una certezza assoluta posso cercare di dare una risposta, raccontare con estrema sincerità la mia esperienza e spiegando le mie motivazioni.
Ciò che mi ha spinto verso quella " insana fiera" è stata sicuramente una profonda insicurezza. 
Uso il termine "fiera" perchè non ne trovo un altro più adatto a indicare ciò che ho visto peregrinando da un luogo all'altro dell'Italia e passando da una passerella all'altra in tanti concorsi di bellezza...
Non delle moderne fiere quelle che si vedono adesso belle e organizzate, quegli eventi mondani attesi da anno in anno, da questo modello siamo ben lontani! 
I concorsi di bellezza sembrano delle enormi "antiche fiere di animali" quelle dove i contadini e i pastori di un tempo portavano pecore, mucche, muli, capre e ogni sorta di animale...
Una volta si diceva che per verificare la qualità dell' animale e se lo stesso era abbastanza giovane da valere l'investimento occorreva controllare i denti: nei concorsi di bellezza si controllano le gambe e il livello di cellulite raggiunto!
Non dimenticherò mai quando in una selezione in Toscana uno degli organizzatori dopo aver scelto le fortunate ammesse alla prima fase del concorso disse "A tutte voi dico di mettervi a dieta e di fare un po' di sport. Ho visto troppa cellulite, prendete provvedimenti, altrimenti farò i nomi di quelle messe peggio...  Non mi costringete a farlo!"

martedì 23 giugno 2015

Professor X - La fine di un incubo

Per la prima volta decisi di rispondergli a tono, così subito dopo aver conservato il mio libretto in borsa dissi “ Preferisco scegliere come divertirmi. Non penso di essermi persa nulla. Volevo una firma sul mio libretto e nonostante tutto l’ho avuta. Sono contenta così. Mi dispiace professore, ma non è riuscito a sverginare neppure il mio libretto!”
Mi voltai e andai via. Ero quasi arrivata alla porta quando sentii pronunciare nuovamente il mio nome. Mi volsi, era ancora lui, nella fretta di andar via non avevo firmato il registro. Dovetti tornare indietro e sapevo che avrei dovuto incassare qualche altro colpo, ma mi sentivo finalmente libera e questo il professor X lo aveva capito.
Mi porse il registro e disse “Nadia, che grinta che ha messo nella sua risposta. Devo ripeterle per l’ennesima volta che non smette di stupirmi. Sa da domani avrò un’altra cattedra, se ci ripensa può sempre mettere il mio insegnamento nel suo piano di studi”
Lo guardai e sorrisi, poi dissi “Professore mi dica dove devo firmare, che perdo l’autobus”
Lui sorrise e non perdendo l’ennesima occasione disse: “Sotto di me, naturalmente. Sa, Nadia, a me piace sempre stare sopra”.
In quel momento capii che era inutile dargli una risposta, era solo uno stupido uomo che si crogiolava nel suo potere cercando di irretire giovani studentesse, ma per la prima volta nella sua carriera quella che aveva scelto come facile preda gli era sfuggita e il suo orgoglio ferito lo faceva blaterare senza un minimo di pudore.
Mentre mi allontanavo assaporava il gusto della vittoria e pensavo che il silenzio era stata la migliore risposta che avessi potuto dare alla sua ennesima provocazione: mio nonno aveva ragione “la migliore parola è quella che non si dice”.
A distanza di tempo, di molto tempo lo incontrai in giro per la città, mi guardò e pronunciò il mio nome, lo guardai e non risposi, lui aggiunse “ricordo ancora il suo nome” mi voltai e andai via. Aveva ancora il sorriso da ebete sul viso, erano passati gli anni, ma il suo stupido modo di fare non era cambiato, peccato che al di fuori degli ambienti universitari lui non era nessuno, al di fuori dell’ambito politico non era nessuno, ora potevo voltargli le spalle e andare via.
Non dimenticherò mai tutti i suoi comportamenti scorretti e penso che chissà quante ragazze prima di me e purtroppo anche dopo di me non hanno saputo tenergli testa.
A tutte le ragazze che ricevono viscide attenzioni da parte dei loro viscidi insegnati dico di essere forti e di non cedere alle loro lusinghe, bisogna avere il coraggio di proseguire la propria strada con dignità, perché le università e i luoghi di potere sono pieni di squallidi maniaci, ma quegli squallidi maniaci al di fuori del loro habitat sono persone normali e non hanno nessun diritto di violare la nostra libertà!
Se siete curiosi di conoscere il volto del Professor X posso solo mostrarvi questo...
Vi assicuro che non è molto diverso da questo "ritratto", anzi... forse è anche più brutto!!!

lunedì 22 giugno 2015

Professor X - Ennesime provocazioni

A ottobre decisi di riprovare, decisi che nessuna delle sue stupide parole avrebbe potuto impedirmi di sostenere l’esame.
Anche se il rituale fu sempre lo stesso, mi sedetti e riempii di scritti il mio foglio, la settimana dopo quando andai a controllare i risultati vidi finalmente un numero accanto al mio nome. Non avevo superato l’esame con il massimo dei voti, avevo ottenuto un voto intermedio, non era quello che mi aspettavo in proporzione alla mia preparazione, ma era un voto onesto, guadagnato onestamente, senza cedere a compromessi, era un voto meritato e pieno di onore.
Quando andai a farmi firmare il libretto il professor X era lì a sorridere come sempre, con la sua area spavalda e con la sua faccia di merda.
“Nadia ha visto che stavolta l’ha superato? Sa, questo è l’ultimo appello che faccio, dopo cambio corso d’insegnamento, per cui ho deciso di farle superare l’esame. Avrebbe potuto superarlo al secondo appello, se solo mi avesse ascoltato.”
Avrei voluto dirgli quanto e come mi facesse schifo, ma mi limitai come sempre a non rispondere e gli diedi il libretto affinché mettesse finalmente la sua stupida firma. Lui stava lì davanti a me e mi scrutava, come sempre, era curioso e forse anche un po’ infastidito perché non riusciva a mandare a segno le sue provocazioni. Aprì il libretto e guardo gli esami che avevo sostenuto fino a quel momento, poi con il solito sorrisino ebete disse “Ah però, ha già sostenuto altri esami, qui vedo altre firme e un paio sono di febbraio. A quanto pare non sono il primo e anche se le avessi fatto superare l’esame a luglio non sarei stato io a sverginare il suo libretto.”
Pronunciò quelle parole guardandomi negli occhi e cercando di carpire ogni minima reazione. Non fu facile restare inflessibile per l’ennesima volta, ma ripetevo a me stessa di restare in silenzio fino a quando quella viscida creatura non avesse scritto il suo nome sul mio libretto.
Restammo in silenzio entrambi per qualche secondo, poi si rassegnò e infine decise finalmente di apporre una firma. Dopo che nero era stato messo sul bianco disse “ E’ contenta del voto che le ho dato?”
Riprendendo il libretto dissi “Non m’importa del voto, sono contenta di aver superato l’esame e sono felice di averlo fatto da sola”.
Lui colse la l’occasione per rifilarmi l’ennesima battuta infelice e naturalmente piena di doppi sensi “Lei sbaglia, è troppo rigida, se l’avessimo fatto insieme sarebbe stato più divertente, non sa che si è persa!”

domenica 21 giugno 2015

Professor X - L'apice dello squallore

A settembre sapeva che sarebbe stato difficile trovare una nuova scusa per punirmi, così cercò di infastidirmi e ci riuscì pienamente.
Faceva un caldo terribile, non si respirava. Mi presentai all’esame con una pinza nei capelli, senza trucco e con un paio di ciabatte ai piedi, ma feci lo sbaglio di indossare un vestito anziché un pantalone. Non era nulla di provocante, solo un tubino giallo che copriva le gambe fino al ginocchio. Era un vestito come tanti, uno che anche una tranquilla madre di famiglia avrebbe potuto indossare per andare a fare la spesa e, se fosse stato scuro, sarebbe stato adatto anche a una suora!
Appena il Professor X entrò nell’aula come sempre pronunciò il mio nome e mi invitò a prendere posto nelle prime file, poi dopo aver disposto tutti gli studenti alternando un posto vuoto a uno pieno iniziò a distribuire i fogli. Non era solo, dei giovani assistenti lo aiutavano nello svolgimento delle pratiche burocratiche.
Posò un foglio protocollo a righe sul mio banco e guardandomi negli occhi sorrise. Ogni volta che si avvicinava a me sentivo un senso di angoscia e ogni volta che si allontanava sentivo una piacevole sensazione di liberazione.
Dopo aver ricevuto il foglio tirai un sospiro di sollievo convinta che avesse proseguito altrove con la distribuzione del materiale, ma in realtà aveva dato ad altri i fogli e lui era lì dietro di me, me ne accorsi solo quando si avvicinò e disse sussurrando al mio orecchio “Nadia, lei mi ha fatto venire un orgasmo che erano anni che non mi veniva così!”
Rimasi impietrita, poi presi la borsa e lasciai l’aula senza mai voltarmi. Ero spaventata e forse anche un po’ imbarazzata, quel giorno il professor X aveva superato ogni limite e il mio autocontrollo mi aveva abbandonato. Non saprò mai cosa fece quando abbandonai l’aula, perché nessuno che conoscessi era lì a sostenere l’esame e a nessuno dei presenti osai chiederlo.
Tornando a casa in autobus pensavo a cosa poter dire ai miei genitori e la scusa ufficiale fu che non ero stata in grado di terminare la prova scritta, per cui non avevo consegnato il mio elaborato. 
All'umiliazione di non aver potuto reagire a una volgare avance avevo aggiunto quella di dover ammettere una colpa che non era mia. Avevo studiato tanto per quell'esame e avevo sacrificato gran parte dell'estate per prepararmi. Se ci penso ancora adesso mi sento male... 

sabato 20 giugno 2015

Professor X - Parte VI

“No” risposi immediatamente.
“Allora perché sta andando via come una ladra in punta di piedi?” aggiunse con tono di voce inquisitorio.
“Oggi devo uscire prima, ho un impegno” risposi.
“Perché non me l’ha detto subito? Ci fermiamo anche noi!” disse tranquillamente come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Pensavo che stesse scherzando, ma nello stupore generale posò il gesso, prese il soprabito e andò via. Mi seguì fino al parcheggio, poi entrai in macchina e lui rimase a guardarmi mentre mi allontanavo ancora in preda al panico.
Feci l’esame ben quattro volte prime di ottenere un voto intermedio.
Non ero bella e non ero più desiderabile di qualsiasi altra ragazza, ma l’idea di non essere riuscito a soddisfare il suo ennesimo capriccio lo aveva spinto a punirmi.
All’appello di giugno si rifiutò di valutare il mio scritto dicendo che avevo una grafia che lo disturbava. All’appello di fine luglio mi bocciò perché disse che nella risposta ai quesiti ero stata troppo prolissa. All’appello di settembre andai via scandalizzata prima ancora di sedermi e scrivere il mio nome sul foglio.
A ottobre finalmente ebbi quella sua maledetta firma.
Giugno e Luglio erano stati due appelli accessibili, conoscevo la materia e pensavo di aver superato la prova a pieni voti, ma non fu così. Quando andai a vedere i risultati affissi in bacheca lui era lì a scrutare la mia reazione e io trattenni per ben due volte le lacrime perché non volevo dargli la soddisfazione di vedermi piangere.

venerdì 19 giugno 2015

Professor X - Parte V

Mi aveva seguito ovunque. Aveva persino capito dove abitavo. Quando nei caldi pomeriggi di fine maggio tornavo a casa troppe volte lo avevo trovato al bar sottocasa seduto a fissarmi mentre passavo a piedi, troppe volte mi aveva chiamato invitandomi a sedere al suo tavolo, troppe volte aveva cercato di offrirmi un gelato, mangiando un cono in modo quasi pornografico …
Non risposi mai alle sue provocazioni, per mesi avevo finto di non aver ascoltato le cose sconce che aveva detto, per mesi avevo fatto finta di non aver visto le cose sconce che aveva fatto.
Quella mattina dopo l’invito inequivocabile nella sua stanza, capii che sostenere l’esame con lui non sarebbe stata cosa facile, perché in cambio avrebbe voluto qualcosa che io non ero disposta a dargli.
Con il passare dei mesi avevo capito molto di quel personaggio squallido investito di autorità. Avevo saputo da alcuni suoi ex studenti che aveva il simpatico vizio di scegliere una ragazza tra i suoi studenti, la ricopriva di attenzioni e concedeva alla fortunata prescelta un voto alto e altri privilegi durante l’anno accademico. Le sue preferite non erano necessariamente belle, ma dovevano essere particolari, dovevano averlo colpito o per un motivo o per un altro. Era sempre lo stesso rituale, le chiamava per nome, le faceva sedere alla cattedra e cancellava le lezioni quando erano assenti.
Per me un giorno interruppe addirittura la lezione.
Capitò un giorno che avevo due ore consecutive di lezione, ma dopo la prima ora il mio fidanzato venne a prendermi, così mi alzai decisa a lasciare l’aula. Il professor X aveva rivolto le spalle alla platea, mentre ripeteva concetti chiave della materia e appuntava qualcosa sulla lavagna.
Sentì il rumore della sedia che si richiudeva, si voltò di scatto e vedendomi in piedi verso l’uscita disse “Dove va Nadia? Trova forse che oggi la mia lezione sia troppo noiosa?”

Professor X - parte IV

Il professor X dopo aver elogiato la sua platea aveva cercato con lo sguardo la sciocca ragazzina di campagna che aveva imbarazzato il giorno prima e non scorgendola fra i banchi della prima fila disse: “Dov’è Nadia? Ieri in prima fila abbiamo conosciuto Nadia, oggi non è venuta? Si è già stancata dei miei insegnamenti?” Qualcuno mi indicò e io alzai la mano. Il professor X sorrise divertito, poi disse “ Venga Nadia, ci raggiunga in primo banco, sono sicuro che uno dei suoi colleghi sarà felice di cederle il posto, anzi, si sieda alla cattedra, tanto io non mi siedo mai quando faccio lezione.
Mi alzai e raggiunsi la cattedra sotto gli occhi indiscreti di tutta la platea. Nel corso della lezione non mancarono battutine, sorrisi idioti e sguardi incuriositi, poi quando le due ore giunsero finalmente al termine sentii un senso di liberazione e un’incredibile desiderio di tornare a casa.
Passarono i giorni e i mesi. A ogni lezione sentivo il professor X pronunciare il mio nome e ogni giorno ero invitata a prendere posto nei primi banchi cosicché potesse tenermi d’occhio. Con il passare del tempo le sue battutine erano diventate sempre più esplicite, i suoi inviti sempre più spudorati. Era diventato un incubo, era ovunque. Quando andavo al bar trovavo le consumazioni pagate poi quando mi voltavo incrociavo il suo viso con quel sorriso ebete dipinto sulle labbra.
Non dissi nulla ai miei genitori, non volevo che si preoccupassero per me, dovevo solo cercare di tenere a bada uno sciocco megalomane, convinto di poter ottenere ogni cosa dalla vita, convinto di poter soddisfare ogni suo capriccio grazie al suo potere.
Arrivò la primavera e poi l’estate, finalmente il corso di studi del professor X era finito e ora non restava che dare gli esami.
Ai miei tempi gli esami si sostenevano a giugno, in realtà c’erano tre appelli: uno a fine giugno, uno i primi di luglio e uno a fine luglio. La regola era che chi sosteneva la prova d’esame a giugno e non la superava aveva la possibilità di ripeterla a fine luglio. Chi invece sceglieva di sostenere l’esame i primi di luglio, non poteva ripetere la prova alla fine del mese, ma veniva rinviato a settembre. Decisi di sostenere l’esame al primo appello, mi sentivo preparata, non avevo motivo di aspettare, altre materie meritavano di essere studiate con altrettanto impegno.
Un giorno mentre andavo a studiare in biblioteca incontrai per i corridoi dell’università il Professor X che non mancò di intavolare conversazione.
“Nadia, buongiorno, che piacere incontrarla, dove va di buon ora?”
Risposi che avevo fretta perché altri ragazzi mi stavano aspettando per studiare insieme. Non scorderò mai il suo sguardo viscido e le sue stupide parole sussurrate quasi a voler sembrare gentile, sebbene di gentilezza non ve ne fosse traccia alcuna.
“Nadia ha deciso quale appello fare?”
D’istinto quasi volessi liberarmi di un peso risposi “Sì, ho deciso di fare il primo, ho seguito il corso e ho studiato, mi sento preparata e forse è meglio non aspettare oltre”.
Lui mi guardò e con una smorfia pungente disse “ Tutti fanno il primo appello, sarà pieno di gente. Faccia il secondo appello, saremo in pochi, lo facciamo io e lei nella mia stanza, lo facciamo solo orale, niente scritto se lo facciamo io e lei nella mia stanza, promesso!”
Non credevo a quello che avevo appena sentito, non pensavo che potesse essere più esplicito di quanto non lo fosse stato nei mesi precedenti.

Professor X - parte III

Infilai disordinatamente tutto in borsa, stavolta senza seguire un ordine preciso, volevo solo andare via, risposi alle sue parole distrattamente “A me non piacciano, non si preoccupi. Arrivederci” mi voltai e andai via.
La mia amica aveva assistito alla scena e non aspettava altro che commentare l’accaduto. Mi accompagnò fuori dall’aula senza dire una parola, ma quando fummo da sole giurò di aver visto il professore seguirmi con lo sguardo.
“ Nà, mi sa che hai fatto colpo! Hai visto come ti guardava? Ti ha continuato a guardare fino a quando non sei uscita.”
Probabilmente se fossi stata un altro tipo di ragazza la cosa mi avrebbe lusingata, ma in quel momento non mi sentivo affatto lusingata.
Il giorno dopo mi attendevano altre due ore di lezione, giurai che sarei stata invisibile e che l’imbarazzo che avevo provato il primo giorno di lezione non si sarebbe mai più ripetuto.
Di buon ora mi alzai, feci colazione, poi come tutte le mattine una doccia veloce e di corsa a lezione.
Arrivai in aula che era ancora deserta, ma a differenza del giorno prima, presi posto in uno dei banchi che si trovava quasi in cima alla gradinata. Era la prima volta che non sedevo ai primi banchi, ma se volevo essere invisibile agli occhi del professor X dovevo sedere in un posto lontano dalla cattedra, in un’aula di trecento studenti in alto non mi avrebbe scorta.
Pian piano l’aula si riempì, il suo corso era uno dei cosiddetti “fondamentali” della mia facoltà, così era seguito da centinaia di persone ogni anno.
La mia amica rimase sorpresa di vedermi seduta così lontano dalla cattedra, la invitai a sedere altrove, non volevo che la mia scelta penalizzasse le sue lezioni, le affidai il mio registratore e rimasi dov’ero, mentre il professor X entrò in aula dal lato opposto.
L’aula aveva la disposizione di una sala del cinema, lunghe gradinate ricoperte di banchi e di studenti ammassati in preda alla sete del sapere. Era praticamente impossibile scorgermi in mezzo a tutta quella gente e mi sentivo pronta per seguire le mie lezioni. Sul banco avevo disposto tutto l’occorrente per seguire al meglio e ogni articolo di cancelleria era pronto a svolgere il suo compito.
Il professor X entrò nell’aula, con il solito sorriso stampato sul viso, sembrava un attore di teatro che porta negli occhi la gioia del debutto. Rivolse uno sguardo verso la giovane platea, poi disse “Ma quanti siete, mamma mia quanti studenti seguono i miei corsi, è incredibile, credetemi siete bellissimi!”
Sorrideva e quelle sue parole per un attimo mi fecero pensare che fosse un ottimo docente entusiasta del suo lavoro. Pensai perfino di aver frainteso il suo comportamento il giorno prima, ma mentre io ero rammaricata per ciò che la mia mente aveva ingiustamente elaborato nei suoi confronti, tornai improvvisamente alla realtà quando sentii pronunciare il mio nome.

giovedì 18 giugno 2015

Professor X - parte II

Per tutta la lezione si rivolse a me, come se fossi sola in quell’aula ad ascoltare le sue parole, pensai che era solo una stupida sensazione e cercai di non distrarmi.
Vicino a me era seduta una ragazza con cui avevo frequentato altri corsi e ormai eravamo amiche, a fine lezione, mentre stavo ancora raccogliendo le mie cose, mi fece cenno di alzare la testa, quando levai lo sguardo dal banco, mi resi conto che il professor X era lì in piedi davanti a me e osservava con scrupolosa curiosità quello che stavo facendo. All’improvviso arrossii, mi sentii goffa e forse anche un po’ stupida, probabilmente nessuno portava all’università pennarelli colorati, borsellini e matite profumate, ma io sono una perfezionista e tutto quello che faccio mi piace farlo bene. Forse il mio metodo di seguire le lezioni era infantile, ma per me è stato sempre quello giusto per poter apprendere e per poter imparare al meglio le lezioni. All’improvviso pensai che il mio modo di fare era ridicolo per un docente universitario considerato un luminare della materia, ma solo col tempo capii che lui non era affatto interessato ai miei metodi di apprendimento!
Se ne stava in piedi davanti a me senza dire nulla, era arrivato lentamente quasi furtivo, colse nel mio rossore un ingenuo imbarazzo, sorrise, spense il miniregistratore che avevo dimenticato ancora acceso e poi disse: “Che bello, c’è ancora qualcuno che arrossisce! Non mi sembra vero che esistano ancora ragazze che arrossiscono! Nadia, viene con me al bar così  le posso offrire un caffè?”
Rimasi senza parole, era tutto così strano, non mi era mai capitato che un professore avesse delle attenzioni per me e il fatto che mi chiamasse per nome mi faceva sentire ancora più in imbarazzo, nessuno mi aveva mai chiamato per nome. A scuola tutti i professori usavano il cognome per rivolgersi agli alunni e fino a quel momento nessuno aveva fatto diversamente con me.
La mia amica era senz’altro più scaltra, così rispose al posto mio “Professore, veramente dobbiamo andare abbiamo lezione dall’altra parte dell’università e se non ci sbrighiamo la troveremo già iniziata”.
Lui non degnò la mia amica nemmeno di uno sguardo, continuò a fissarmi e quasi sussurrando disse “Peccato, ma sicuramente sarà per la prossima volta … A domani Nadia …”
Non si allontanò nemmeno dopo aver pronunciato quelle parole, io infilai in tutta fretta tutte le mie cose nella borsa, ma più hai fretta più combini guai!
Era l’anno in cui andavano di moda le borse dell’Adidas. Chi non ricorda le borse di plastica e vernice dell’Adidas, tutte colorate e con due manici da portare ascellari o a mano?
C’erano due modelli che andavano per la maggiore, imitati da tutte le altre ditte e da tutti coloro che sapevano cucire una borsa! Non c’era una sola ragazza in giro per strada che non ne avesse una originale o una “tarocca”. Io ne avevo due, entrambe originali, lavoravo in nero nel tempo libero in un negozio di articoli sportivi e le avevo comprate a un prezzo di favore. Avevo però il modello con la tasca in vernice sul fondo e proprio quella tasca in vernice sul fondo con l’apertura esterna mi tradì.
Infilai nervosamente il mio borsellino nel ripiano esterno, ma non riuscii a chiuderlo bene, così quando afferrai la borsa per i manici il borsellino si aprì rovesciando tutto il contenuto sul pavimento. Volevo sprofondare, oltre a penne, matite e articoli vari di cancelleria c’erano caramelle e … un assorbente … nuovo, naturalmente, ma di quelli normalissimi, quelli spessi e ingombranti … diciamo pure di quelli che usano le signore di una certa età!
Mi precipitai per cercare di raccogliere tutte le mie cose, ma il professore X era lì a osservare ancora tutti i miei movimenti. Si chinò a raccogliere le mie cose e siccome non sono una persona molto fortunata arrivò prima di me all’articolo più imbarazzante. Lo strappò quasi dalle mie mani e sorrise divertito, poi cogliendo il mio ennesimo imbarazzo disse “Interessante, Nadia lei non finisce di stupirmi” poi mi restituì tutto ciò che di mio aveva raccolto dal pavimento, eccetto una confezione già iniziata di caramelle alla frutta, per quelle disse “Queste le requisisco, in qualità di docente ho il potere di farlo, se vuole posso offrirgliene un altro tipo al bar, queste sono le mie preferite!”

L'Università

Non so come siano quelle estere, ma le università italiane, da nord a sud sono sempre le stesse.
L’università è per definizione un ente di diritto pubblico e privato, operante nel campo dell’istruzione superiore, della ricerca e delle attività culturali.
Purtroppo questa definizione forse andava bene per il passato, quello che vedo io oggi è un luogo di corruzione, dove i voti e gli esami sono venduti al miglior offerente e dove le solite conoscenze e i soliti sorrisi gratis fanno da padrone.
Mi sono laureata a ventiquattro anni in economia, non è stato facile, ma ho conseguito quel traguardo, sebbene la strada per raggiungerlo sia stata lunga e tortuosa.
Per evitare querele o problemi di ogni tipo mi limiterò a raccontare gli episodi e non citerò nomi e cognomi delle persone interessate, sebbene siano impressi a caratteri cubitali nella mia mente.
Le cose mi sono state chiare sin dal principio. Già al primo esame ho assistito a uno squallido dialogo tra il professore e uno dei suoi tanti corsiti (figlio di un docente della stessa università): “Ti prego, rispondi almeno a una domanda o dimmi un argomento a piacere, lo sai che non posso darti meno di trenta!”
A quel punto in una nazione civile dove c’è un minimo di giustizia sarebbe stato normale che gli altri ragazzi in attesa di essere giudicati avessero chiamato le forze dell’ordine e avessero denunciato il professore, ma ciò non è accaduto, perché se ti permetti di fare una cosa del genere in un’università italiana andando a sconvolgere l’equilibrio clientelare che si è creato, sarai bandito dall’università e mai riuscirai a conseguire una laurea. Ingoi in silenzio il trenta del figlio del professore che sorride come un ebete sicuro di sé, mentre tu raggiungi a stento un venticinque dopo aver studiato notte e giorno, alternando lo studio a un sottopagato lavoro in nero.
Venticinque esami, uno dopo l’altro, tutti con una cosa in comune: i raccomandati.
E’ davvero deprimente vedere che su venticinque esami che ho preparato nessuno dei miei professori è stato onesto e leale fino in fondo, nessuno ha saputo dire di no a quello scansafatiche che ha rubato una laurea a discapito di chi l’ha sudata e sognata con tanto ardore.
Purtroppo qui non vale la regola del tanto non importa un laureato in più o uno in meno non fa differenza perché poi sarà il mondo del lavoro a operare la vera selezione, perché in Italia non è così, il mondo del lavoro, in nessun ambito opera una selezione, il mondo del lavoro recepisce delle direttive e assume personale incompetente con curriculum creati appositamente da menti eccelse attraverso le opportune conoscenze e i soliti scambi di favori.
Ma torniamo agli esami e a uno degli episodi più raccapriccianti che possono capitare a una ragazza che arriva con tanti sacrifici all’università ansiosa di conquistare un titolo e far finalmente valere le proprie capacità.
Ce ne erano stati altri di esami e tutti con la stessa routine: seguire i corsi, ingoiare rospi, vedere gente impreparata uscire con un libretto pieno di voti altissimi.
Ogni volta che superavo un esame lo depennavo dal mio piano di studio, era bello cancellarlo, perché lo avevo superato, ma sapere che avevo preso un voto che forse avrebbe potuto o dovuto essere più alto ti lascia quella sensazione di amaro in bocca, come quando guardi un bellissimo dolce al cioccolato nella vetrina di una pasticceria, lo mangeresti, ma sei a dieta, quindi entri nel primo supermercato e compri una di quelle barrette dietetiche, hanno il sapore di un dolce, ma non danno quel senso di appagamento di una qualsiasi prelibatezza.
Dicevo a me stessa guardando il libretto che il prossimo esame sarebbe andato meglio e che prima o poi avrei avuto l’occasione di rivalermi e quell’occasione di trionfare arrivò presto, ma non era quella che volevo io.

Il Professor X

Era uno degli insegnamenti più importanti del mio corso di studio e lui era uno dei professori più importanti dell’università. Naturalmente aveva una carriera politica alle spalle e anni di leccaculismo acuto, forse era per quello che ogni volta che parlava sputava, probabilmente la sua lingua si era atrofizzata a furia di leccare culi per arrivare a ricoprire quel ruolo così prestigioso, che forse in pochi in quell’università hanno il diritto di ricoprire.
Si faceva il gradasso con tutte le studentesse del suo corso. Aveva la fama di essere un Don Giovanni, anche se la moglie lavorava nella stessa università e ricoprisse un altrettanto ruolo di potere. Per evitare problemi di ogni tipo mi limiterò a chiamarlo genericamente Professor X, ma se leggerà questo libro saprà che è di lui che sto parlando.
Il primo giorno di lezione mi sedetti ai primi banchi, sedevo sempre ai primi banchi quando seguivo le lezioni, per evitare di distrarmi, per posizionare bene il mio registratore e per vedere bene la lavagna dato che sono astigmatica.
Entrò nell’aula e guardò il banco dove ero seduta, avevo il mio borsellino, le mie penne multicolore, l’evidenziatore e le matite, i miei quaderni, le gomme e il libro di testo.
Si avvicinò e disse: “Bellissimo, sembra di essere ancora a scuola! Hai portato tutto l’occorrente per fare lezione, in genere all’università nessuno porta tutte queste cose. Come ti chiami?”
Io risposi timidamente: “Nadia”, lui sorrise e mi chiese “Di dove sei?” pronunciai il nome del mio paese e lui l’associò subito ai prodotti tipici della mia zona, poi iniziò a fare lezione. Ogni tanto mentre spiegava si avvicinava al mio banco e guardava i miei appunti, andava avanti e indietro, poi a un certo punto mi accorsi che forse c’era qualcosa di strano nel suo modo di guardarmi.

martedì 16 giugno 2015

Introduzione

Trentatré anni non sono tanti, ma sono abbastanza per poter raccontare una  storia, fatta di esperienze di vita vissuta.
Sono nata in Italia, in un piccolo paese del meridione, dove tutte quelle cose che vedi in televisione sembrano tanto lontane da te, ma se  ti guardi intorno ti rendi conto che in paese o in città l’Italia è tutta uguale, da Nord a Sud, l’Italia è uguale in tutti i suoi angoli, anche in quelli più reconditi.
In passato quando all’estero dicevi di essere italiano la gente ti guardava con una certa ammirazione, ora quando pronunci il nome Italia la mente del tuo interlocutore traduce quello stesso nome con parole tipo “corruzione”, “disonestà”, “mafia” e tanto altro ancora …
Da dove arriva tutto questo malcontento nei confronti del nostro paese? Non lo sappiamo o forse facciamo finta di non saperlo, perché ognuno di noi è cosciente che quello che c’è intorno a noi è marcio e continuerà a marcire sotto i nostri occhi se nessuno alzerà la testa e dirà “basta”. Oggi io voglio dire “basta” e inizio a raccontare delle storie di vita vera, vissuta in trentatré anni, ma per farlo devo prima chiarire il concetto di uomo e donna.
Gli uomini generalmente sono di tre tipi:
1.      Quello ricco, intelligente e maledettamente attraente (a cui tutti ambiscono e a cui le comuni mortali non possono nemmeno pensare di arrivare)
2.      Quello povero, intelligente e attraente (che generalmente si accompagna a una donna normale che lo ama per quello che è)
3.      Il ricco, brutto, viscido e bavoso (che si crede di essere padrone del mondo perché ricopre un ruolo di potere).
Anche per le donne[1] esiste una suddivisione per tipologia che generalmente delinea tre profili:
1.      Quelle che la danno via come se non fosse loro ( e queste naturalmente hanno successo nella vita perché riescono a farsi spazio, mentre gli altri si fanno spazio in loro!)
2.      Quelle che vorrebbero darla via ma che hanno timore del giudizio altrui ( e per questo motivo sono acide e represse)
3.      Quelle che la conservano per darla ai più meritevoli (generalmente questa tipologia si divide in altre due, ovvero quelle che credono nel grande amore e quelle che la conservano perché credono nei grandi portafogli).
Ripensandoci bene forse c’è una quarta tipologia di donna, cioè quella che non sa di averla o lo ignora e quindi non si pone il problema di usarla. In effetti ora che ci penso per un periodo ho fatto parte di questa categoria, poi sono entrata in quella delle romantiche che credono nel grande amore.
Non credo di essere mai stata bellissima, ma sono una donna e in Italia se sei una donna sei comunque appetibile, certo se avessi avuto un paio di taglie in più di reggiseno forse sarei stata molto più appetibile, ma dalla mia risicata terza ho avuto non pochi episodi al quanto discutibili …


[1] Mi riferisco naturalmente alle donne normali, quelle che non hanno intrapreso il cammino della fede.

Prefazione

Si dice che la fortuna aiuti gli audaci, ma alla veneranda età di trentatré anni, mi sento di dire che la fortuna (se di fortuna si può parlare) aiuta solo i disinibiti, per il resto cari signori siamo tutti nella stessa barca, in balia di un destino che penalizza le persone che vivono di onore!
Se ripercorriamo la storia, vediamo come le imprese più eroiche sono state compiute da uomini per amore di donne o da uomini grazie all’aiuto di donne di potere.
In ogni ambito, in ogni situazione, bella o brutta che sia, avere quel tocco di simpatia e di audacia decide il nostro destino e quello di tante persone che magari ignoriamo persino che esistano.
Tutti demonizzano la televisione e il mondo dello spettacolo, ma posso affermare con estrema certezza che in ogni ambiente avviene quotidianamente una lotta fra sessi, una lotta fra un soggetto che ha potere e un soggetto a lui subordinato che subisce, nolente o dolente una sorta di molestia (se si tratta di persona che può interessare il potente), di discriminazione (se non ha i requisiti giusti per renderla desiderabile).
Il mondo è pieno di stronzi (se vogliamo usare un eufemismo), non sai mai con quale specie hai a che fare: ci sono i perfidi che tramano alle tue spalle, ci sono gli invidiosi che sognano la tua disastrosa caduta in una valle di lacrime e ci sono i maniaci sessisti, cioè quelli che credono che le donne sia esseri inferiori da trasformare in piccoli oggetti sessuali da usare e sfruttare a loro piacimento.
Quali di questi siano peggio? Beh, non saprei, lascio ai posteri la soluzione dell’enigma!